“Aleppo bombardata” titolano i media mainstream. La Lega Arabaritiene che si starebbero commettendo “crimini di guerra ad Aleppo”, ovviamente da parte delle forze governative visto che chiede riunioni urgenti del Consiglio si Sicurezza “aderendo alla richiesta dell’opposizione”.
Gli Usa sono ancora più chiari: il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha condannato “l’odioso attacco ai civili. Il tipo di armamenti che stanno usando contro civili disarmati dimostra la depravazione di Assad”; e ha paragonato Aleppo a Bengasi, la città “ribelle” libica per proteggere la qualela Nato mandò i bombardieri.
Leon Panetta, segretario Usa alla Difesa oltre a minacciare un po’ mafiosamente Assad (“se vuole proteggere sé e la sua famiglia meglio che se ne vada”) si indigna: “il regime continua questo tragico attacco al suo stesso popolo ad Aleppo…quel che Assad sta facendo al suo stesso popolo e quel che continua a fare al suo stesso popolo rende chiaro che il regime sta arrivando alla fine, ha perso tutta la legittimità”.
“Contro il suo stesso popolo”: la frase magica così spesso usata prima e durante la guerra Nato in Libia. E’ vero che il regime Usa gli attacchi non li conduce contro il suo stesso popolo ma contro altri popoli: i droni antiterroristi continuano a bruciare vivi abitanti di villaggi pakistani e afghani.
Bengasi è sulla bocca di tutti. Il Cns (l’opposizione esterna ed eterodiretta) dichiara di temere un “massacro” e chiede forniture di armi agli oppositori e un intervento esterno legittimato dall’Assemblea generale bypassando il Consiglio di Sicurezza dove Russia e Cina sono renitenti. L’Esercito libero siriano, per bocca del generale Mustafa el Sheik (il 30 luglio su Repubblica) dice che la ricca Aleppo sarà come Bengasi, la prima città “liberata” dai “rivoluzionari” (le virgolette sono nostre, le definizioni sono sue).
Ma: è giusto usare il termine “massacro” e “attacco al popolo” per indicare quanto succede ad Aleppo?
Battaglia fra armati, non massacro di civili
Si ha un “massacro” quando si prendono di mira civili disarmati, non combattenti armati. Ad Aleppo si tratta di una battaglia. Un oppositore armato dichiara ad Al Jazeera “sì, l’esercito attacca zone civili”, ma poi alla domanda “ma ci sono ancora tanti civili nell’area?” la risposta è “no, è tutto deserto, sono andati via tutti”. In effetti i civili si muovono verso le aree più calme e vengono ospitati in scuole e altre strutture;la Mezzaluna Rossa le sta rifornendo di generi di prima necessità.
Un analista politico dell’università di Alessandria, Ashraf El Bayoumi, ha detto alla tivù russa RT che secondo le persone con le quali è in contatto “gran parte di Aleppo è molto calma” e che “l’esercito è cauto negli attacchi alle aree con presenza di insorti, per evitare vittime civili delle quali sarebbe incolpato”. Addirittura l’esercito siriano regolare protegge i civili, secondo il corrispondente di Telesur : “I gruppi armati che operano in Aleppo usano i civili come scudi umani e si trincerano in zone residenziali, per cui l’esercito avanza lentamente. Ogni volta che un civile cade vittima negli scontri, opposizione e mezzi di comunicazione incolpano il governo”. In uno scambio di propaganda sulla questione delle armi chimiche, Damasco sostiene che i combattenti ad Aleppo usano maschere per le armi chimiche – che avrebbero portato dalla Libia – perché potrebbero usarle contro i civili per poi accusare il governo.
L’agenzia Fides informa: “Mentre continuano i combattimenti ad Aleppo tra le forze governative e gli insorti, le comunità cristiane della città siriana hanno deciso la costituzione di un comitato di coordinamento per fornire assistenza umanitaria alle persone in difficoltà ed ai profughi. Si cercherà di garantire una certa sicurezza nei quartieri abitati dai cristiani e di fare in modo che questi non abbandonino le loro abitazioni perché non si ripeta qui quello che è accaduto ad Homs, dove le case abbandonate dai civili in fuga sono state usate come capisaldi dai combattenti. E questo ha provocato la strage nei quartieri cristiani di Homs“.
Neolingua: “massacri” al posto di battaglie, “rivoluzionari” al posto di gruppi armati
Il termine massacro ci insegna il giornalismo di pace, indica l’uccisione deliberata di civili non armati. Non si può usare il termine massacro (demonizzando una delle due parti) quando si ha uno scontro fra armati, con relative uccisioni. Certamente negli scontri possono esserci vittime civili, ma si può parlare di massacro solo quando queste vittime sono deliberatamente ignorate o peggio tenute in ostaggio come scudi umani da una delle due parti, e l’altra parte pur sapendolo spara lo stesso. In questo caso le due parti sono entrambe colpevoli di crimini di guerra.
Come abbiamo già ricordato molti mesi fa, il mondo ha ignorato l’assedio di Sirte, ridotta in macerie dal combinato disposto di Nato e Cnt, mentre proprio sull’assedio a Misurata e su quello solo presunto a Bengasi era stata imbastita e portata avanti una campagna di bombardamenti “contro il massacro di civili” (mai avvenuto).
E chi sono i «rivoluzionari»? Come riportava il New York Times pochi giorni fa, «musulmani jihadisti siriani, insieme a piccoli gruppi di combattenti di Al Qaeda, stanno assumendo un ruolo sempre più importante e chiedono di avere voce in capitolo nel comando»; e «anche i gruppi armati meno religiosamente zelanti stanno assumendo un’aura islamica più pronunciata per avere più fondi». Anche il corrispondente di Al Quds Al-’Arabi, finanziato dal Qatar e ben informato, scrive che «il battaglione Ahl Ash-Sham è praticamente la versione siriana di Al Qaeda e ha seimila combattenti secondo fondi giordane, con arabi, asiatici, cittadini del Golfo e anche europei».
La Cianon definisce «rivoluzionari» gli oppositori armati in Siria. Potrebbero gli Usa mai sostenere politicamente, con i soldi di Qatar e Arabia Saudita e le infrastrutture della Turchia (fra le quali una base segreta al confine, in luogo segreto dalle parti di Adana, secondo la Reuters), dei veri rivoluzionari?
In un’intervista con l’agenzia di stampa libica Libya now, Hazem M, guerrigliero tornato dalla Siria in Libia ed esperto di esplosivi, ha dichiarato: “La postazione principale dell’esercito libero era ad Homs. Dopo l’intensificarsi dei combattimenti sono stato trasferito con un gruppo di uomini a Hama, per affiancare la squadra di Ammar ibn Yaser. Giunto sul posto, sono rimasto sbalordito nel vedere l’eterogeneità del battaglione, composto di persone di varie nazionalità, arabe ed africane. (…) ciò che mi ha fatto abbandonare il campo di battaglia è stata la mentalità e il modus operandi dei rivoluzionari. Quando muore uno dei nostri, se è un africano, il suo corpo viene bruciato interamente. Alla mia domanda sul motivo di tale gesto, mi è stato detto da Abu Hamza, il comandante militare ad Hama, che è solo per evitare che il regime siriano ci accusi di assoldare uomini di nazionalità straniera“.
Gli embedded del Figaro e di Le Monde ad Aleppo rintervistano combattenti che dichiarano pern la maggior parte di combattere per la religione; anche se poi li descrivono più come “rurali conservatori sunniti” che come estremisti islamici. Circola però un video che mostrerebbe un tribunale religioso speciale realizzato in una scuola.
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