lunedì 24 giugno 2013

Il governo brasiliano è alle prese con la prima guerra mediatica ad ampio spettro d'impatto, com'è avvenuto contro il Venezuela, Bolivia, Ecuador ed Argentina. Tito Pulsinelli




Brasile  alle prese con la prima guerra mediatica ad ampio spettro d'impatto, com'è già avvenuto più volte contro il Venezuela, Bolivia, Ecuador e Argentina 
Tito Pulsinelli Secondo i dati della Commissione economica per l'America Latina e i Caraibi (CEPAL) relativi al  Brasile al tempo di Lula e Dilma Rousseff, la povertà è stata ridotta dal 37,5% al 20,9%, e l'indigenza è calata dal  13,2 al 6,1%, il che significa che circa 30 milioni di brasiliani sono entrati nel basso ceto medio, migliorando sensibilmente il loro potere d'acquisto.
Si stima che il 53% dei brasiliani (circa 104 milioni di persone) fanno parte della classe media, rispetto al 38% di dieci anni fa.
Negli ultimi cinque anni il reddito reale del 10% dei più poveri è aumentato del 10%, nel contempo sono stati creati 18 milioni di posti di lavoro. Circa 11 milioni di famiglie (40 milioni di persone) sono iscritti al programma statale "Borsa Familia", che dà 68 reais mensili a quelli che guadagnano meno di 70 reais al mese, più assegni familiari per ogni figlio. Il salario minimo è stato aumentato quest'anno di 667 reais (330 dollari) al mese. E' un percorso oposto a quello in voga in Europa e USA dove le classi subalterne hanno perso reddito e diritti.

Il 50 per cento dei terreni coltivabili, secondo la CEPAL, sta nelle mani dell'1% della popolazione. L'85% delle migliori terre è utilizzato solo per coltivare soia, mais, pascoli e canna da zucchero e il 10% dei proprietari terrieri detiene l'85% del valore della produzione agricola.


Il Brasile è il principale protagonista del MERCOSUR, UNASUR e CELAC. Nel 2005 Lula da Silva, assieme a Chávez, Evo Morales e gli altri Paesi latinomaericani, ha partecipato attivamente alla sconfitta del mega-trattato di libero commercio denominato ALCA. Era la deregulation dell'economia dell'intero continente americano, che l'ex presidente George W. Bush voleva ridisegnare alla misura dei dogmi  liberisti e degli interessi nazionali degli USA.


Nell'ultimo decennio, a differenza del passato, sia Lula da Silva che Dilma Rousseff hanno dimostrato solidarietà con il Venezuela e Cuba, rilanciando la proiezione del Brasile anche in Africa. Per il Fondo Monetario Internazionale, l'economia  brasiliana sta dietro solo a quella degli USA, Cina, Giappone, Germania e Francia; è membro prominente del BRICS, vale a dire del blocco geoeconomico emergente, che ha reso fittizie le gerarchie dei "7 grandi (G7). 


La crisi senza uscita in cui versa l'area "occidentale" -Paesi Industrializzati Altamente Indebitati (PIAI) - fa sì che i globalisti rompano gli indugi e passano a incrociare i guantoni con la "concorrenza". Non sopportano più, per esempio, che i brasiliani -nel commercio con la Cina-abbiano sostituito il dollaro con le rispettive monete nazionali.


E' assai curioso che l'apparato mediatico dell'elite di Sao Paulo, che crocifigge sempre qualsiasi rivendicazione popolare, oggi soffi sul fuoco di una protesta che -in ultima istanza- sta rivendicando che il governo investa di più in scuole e ospedali (1). Il monopolio mediatico privilegia lo sputtanamento immediato del governo. Presto, però, riprenderanno a combattere contro le politiche tese ad ampliare lo Stato sociale, o che pongano qualche limite al latifondismo della soia transgenica, che non dà molti posti di lavoro. Il Venezuela destina il 42% del bilancio agli investimenti sociali. Il governo chiede al parlamento che approvi una legge per destinare i proventi dei megagiacimenti Presal alla salute, istruzione e pensioni. 


L'arrivo di 10mila medici dall'estero farà cadere la machera a molti. Si opporranno, come già hanno anticipato, all'arrivo di medici cubani? L'alleanza illusoria tra i lupi e il gregge avrà una definizione: gli interessi degli utenti delle "reti sociali" differiscono da quelli dei proprietari di satelliti, monopoli radiotelevisivi e cartacei, che oggi concedono una sponda di rilancio per massificare la protesta. Non è gratuita, ha un prezzo salato. Il governo brasiliano è alle prese con la prima guerra mediatica ad ampio spettro d'impatto, com'è avvenuto in varie riprese contro il Venezuela, Bolivia, Ecuador ed Argentina e -come questi- supererà la prova rafforzando le politiche sociali.



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