venerdì 23 dicembre 2011

PER COLORO CHE VOGLIONO SAPERNE DI PIU' SULLA MORTE DI KIM YONG di Lorenzo Scala


Successivamente alla caduta dei numerosi sistemi socialisti dell’Est Europeo, avvenuta all’inizio degli anni Novanta, i paesi capitalistici d’Occidente, essendo guidati dagli Stati Uniti d’America, hanno visto nella Repubblica Popolare Democratica di Corea (che si era fortunatamente sottratta al rovinoso processo di logoramento interno alla varie dirigenze comuniste al potere che aveva portato alla dissoluzione dell’Unione Sovietica) uno degli ultimi baluardi antimperialisti ed anticolonialisti. La macchina propagandistica nord-atlantica ha quindi riversato tutte le sue “retoriche umanitarie” sulla Corea del Nord, che sarebbe, secondo la storiografia “ufficiale” occidentale, un “regno eremita”, chiuso su se stesso, governato da una dinastia monarchica ma “stalinista”, ed abitato da genti oltremodo povere, vittime di lavaggio del cervello e di malnutrizione. Tutte queste amenità sono state ripetute anche negli ultimi giorni, a seguito dell’improvvisa ed inaspettata morte di Kim Jong Il, Comandante Supremo dell’Esercito Popolare Coreano, Segretario della Difesa Nazionale, Segretario Generale del Partito del Lavoro di Corea e, in effettiva, Capo dello Stato della Repubblica Popolare Democratica di Corea.

I nostri media, mossi da una forma spregiudicata di razzismo occidentalista, non hanno esitato a strumentalizzare le lacrime dei cinque milioni di nordcoreani che nelle ultime ore, si sono recati in visita al feretro del Caro Leader, esposto al pubblico da ieri nella cornice delKumsusan Memorial Palace di Pyongyang, al cui interno riposa anche il cadavere imbalsamato del Grande Leader, Kim Il Sung. L’isterismo di massa dei cittadini in lutto è stato infatti definito come parte integrante della propaganda di regime, atta a giustificare un “grottesco culto della personalità”. Ovviamente tutto ciò è estremamente offensivo nei confronti del patrimonio storico e culturale della Corea del Nord: i suoi costumi tradizionali (ai quali si sono ispirati anche molti letterati ed artisti dell’antico Giappone) prevedono infatti un enorme rispetto verso i morti.
Inoltre, chi o cosa costringa perfino i cittadini nordcoreani residenti all’estero a piangere il proprio Leader è un mistero. Purtroppo, la maggior parte di tali strumentalizzazioni sono condivise (in modo superficiale e semplicistico) anche da chi, per affinità ideologica, dovrebbe invece supportare la parte settentrionale della Penisola di Koryo. Molti sedicenti comunisti che parlano e che magari condannano Repubblica Popolare Democratica di Corea, sono vittime e allo stesso tempo complici di una vergognosa ed evidente campagna di disinformazione mediatica, funzionale a mire geopolitiche ben precise; esse sono perciò precluse da una corretta analisi e comprensione dell’oggettività dell’argomento. La Corea del Nord diviene, nella loro ottica “democratica”, un paese “totalitario” che distruggerebbe i più elementari diritti civili dell’uomo. Lo stesso schema di pensiero viene largamente applicato per quanto riguarda gli altri Paesi socialisti o, comunque, ostili agli Stati Uniti e all’Unione Europea.
Ad ogni modo, nessuna delle organizzazioni gravitanti nella galassia del cosiddetto “anticapitalismo” italiano (tranne Comunisti Sinistra Popolare di Marco Rizzo, che per questo gesto è stata bersagliata di contestazioni e vessazioni) ha espresso alcun tipo di dispiacere per il decesso di Kim Jong Il. Anzi, in alcuni ambienti si è ostentata una velata soddisfazione per la morte del “dittatore”. In realtà il ruolo che Kim Jong Il ha rivestito in seno alla recente vita politica della Repubblica Popolare Democratica di Corea ed i suoi consequenziali meriti sono perlopiù sconosciuti alla maggior parte della gente. Venirne a conoscenza ed approfondire in generale la figura del Caro Leader potrebbe certamente risultare utile a chi volesse condurre uno studio serio e senza preconcetti sul Paese. Kim Jong Il, figlio del futuro Presidente Kim Il Sung e di sua moglie, l’attuale eroina nazionale Kim Jong Suk, nacque il 16 Febbraio del 1942, in un accampamento dell’Esercito di guerriglia anti-giapponese situato ai piedi del Monte Paektu. Secondo gli analisti occidentali, egli sarebbe invece venuto al mondo in Unione Sovietica un anno prima, nei pressi di Chabarovsk. Successivamente alla Guerra di Corea, egli si stabilirà definitivamente a Pyongyang, ed alternerà studi di economia politica all’Università Kim Il Sung ad impieghi manuali, prima come operaio e poi come meccanico. Poco prima di prendere la laurea, soggiornerà brevemente nella Repubblica Democratica Tedesca (in qualità di studente straniero) in un’accademia d’aeronautica militare. Per tutto questo periodo della sua vita egli affiderà grande importanza all’analisi delle teorie marxiste. Volendosi attenere alle opere biografiche ufficiali del Partito del Lavoro di Corea, egli mostrò una grande dedizione politica verso il padre fin dal momento in cui si iscrisse al Partito, nei primi anni Sessanta. Fu fin da subito preso in grande considerazione, in quanto in possesso di un’intelligenza vivace e brillante, adatta al lavoro dialettico e propagandistico. Molti funzionari videro in lui le stesse caratteristiche giovanili del padre, così che nel 1968 entrò già a far parte del Politburo di Stato. Iniziò quindi una progressiva scalata ai vertici dello Stato che lo vide nel 1974 membro del Comitato Centrale del Partito. Da qui iniziò ad essere chiamato Caro Leader dalla stampa e dal popolo; accompagnò poi il padre in viaggi istituzionali ed in visite di supervisione a vari siti militari del Paese. In generale, lo affiancò nei lavori più importanti e più impegnativi. Nominato quindi Comandante Supremo dell’Esercito Popolare Coreano nel 1991, egli fu immediatamente proposto dal Parito come un simbolo di coesione nazionale e degno successore di Kim Il Sung. Alla morte di quest’ultimo infatti, gli fu facile e del tutto naturale la successione alle più alte cariche statali. Inizialmente, dovette però dividere la maggior parte del potere decisionale col Primo Ministro ed il Presidente dell’Assemblea Suprema del Popolo.
La situazione cambiò nel 1997 con l’incarico più importante presso la Segreteria del Partito e con la reggenza della Commissione di Difesa Nazionale. Quinidi, nonostante il Presidente della Repubblica Popolare Democratica di Corea rimanga a titolo onorifico Kim Il Sung, Kim Jong Il divenne ben presto la figura politica centrale del Paese. La presidenza di Kim Jong Il risulterà, in un certo senso, molto più variegata rispetto a quella del padre. Toccherà infatti al Caro Leader stabilire definitivamente le fondamenta storiche, ideologiche e filosofiche di determinate dottrine politiche, economiche, sociali e culturali precedentemente elaborate dal padre. Queste, in un modo o nell’altro, si rifletteranno anche sulle molteplici e spesso lungimiranti scelte che Kim Jong Il ed il suo governo compiranno in materia strategica. Si può sicuramente dire, ad esempio, che il maggior teorico della dottrina Juche (letteralmente “autosufficienza”) non fu Kim Il Sung, ma Kim Jong Il. Per comprendere bene quest’argomento è necessario fare un’importante digressione storica. Il Juche venne concepito dalla fertile mente di Kim Il Sung durante la guerriglia anti-giapponese degli anni Trenta. Le sue origini risalgono ai documenti scritti prima e dopo la Conferenza di Kalun, in Manciuria, tenuta dall’Esercito di Liberazione Coreano e dall’Associazione per l’abbattimento dell’Imperialismo, della quale il giovanissimo Kim Il Sung era il massimo referente. In questo contesto, egli seppe analizzare la storia del nazional-indipendentismo coreano, spiegando inoltre i motivi del suo fallimento pratico. A parere di Kim Il Sung, la fiducia nei confronti della grandi potenze nemiche, come il Giappone, e l’ostilità verso il comunismo e l’Unione Sovietica, erano state la rovina di quel movimento di lotta. Sarebbe stata necessaria, sempre secondo il futuro Presidente della Repubblica Popolare Democratica di Corea, la costituzione di un fronte popolare che comprendesse gli elementi più patriottici della nazione, senza distinzioni di classe. A guidare quest’avanguardia rivoluzionaria avrebbe dovuto esserci un partito marxista-leninista ben organizzato e piuttosto coeso, memore degli errori di organizzazione tattica del Partito Comunista Coreano, precedentemente “scomunicato” dall’Internazionale per frazionismo e scioltosi nel 1926.
La Rivoluzione Coreana avrebbe quindi dovuto delinearsi e concretizzarsi a seguito di immani sforzi, compiuti solo ed esclusivamente dal popolo coreano, senza alcuna dipendenza verso agenti esterni. Kim Il Sung parlò per la prima volta del Juche in quanto vera e propria ideologia nel 1955, in un famoso discorso intitolato “Sull’eliminazione del dogmatismo e del formalismo e sull’introduzione del Juche nel lavoro teorico”. Da qui in poi, il Presidente nord-coreano aggiunse, all’importanza di una politica indipendente e sovrana, anche quella di un’economia autosufficiente. Certamente egli fu il primo a teorizzare il Juche, ma lo fece con schemi, per certi aspetti molto generici e mai veramente specifici. Non fissò mai i suoi principi cardine in maniera scientifica, in uno scritto; lo fece il figlio, Kim Jong Il.
Nelle sue opere principali inerenti al tema, il Caro Leader tende spesso a sottolineare come il Juche non sia un sottoprodotto del materialismo dialettico marxista, ma un pensiero nuovo ed originale. Il suo merito, secondo Kim Jong Il, non è quello di aver sviluppato il marxismo, ma di aver stabilito principi sociali principalmente basati sull’uomo. Pur accettando le premesse filosofiche della dialettica materialistica di Marx ed Engels, il Juche pone l’accento sull’uomo e sul suo rapporto con la natura. A proposito di questo, Kim Jong Il scrive: “La filosofia marxista ha applicato la legge universale dello sviluppo del mondo materiale, stabilendo così una concezione materialista e dialettica della storia. Questa ha dato un apporto alla lotta contro la concezione reazionaria basata sull’Idealismo e sulla Metafisica. […] Tuttavia si avrà necessariamente una conoscenza imperfetta della storia se si applica meccanicamente la legge universale dello sviluppo del mondo materiale a fenomeni sociali. […] Il movimento sociale si sviluppa in virtù di una sua propria legge, la legge dell’uomo. L’uomo è l’essere che domina e modifica il mondo materiale”. Il Juche vede quindi nell’uomo l’artefice della storia. Riconosce che il mondo è fatto di materia, ma pretende che sia l’essere umano a dominarlo e a mutarlo. Nel momento in cui le masse popolari acquistano piena coscienza rivoluzionaria, è compito loro trasformare la società e sottometterla alla loro creatività. D’altra parte, l’uomo è anche un essere sociale, dotato di un suo Chajusong, cioè di un attributo sociale, che gli conferisce morale, spirito di lotta e capacità d’analisi.
Gli esseri umani, avendo una propria dignità, lottano per la preservazione del loro Chajusongcontro la violenza fisica e spirituale. Riprendendo le analisi marxiste circa l’alienazione della classe lavoratrice, si può anche comprendere come i principi fondamentali del Juche siano contrari al capitalismo. Se l’operaio si trasforma in macchina, in automa, perde il suo attributo sociale: non è più un uomo degno di questo nome. Il Juche considera il sistema di libero mercato come nemico delle masse popolari e del loro Chajusong. Kim Jong Il riprende poi le tesi del padre, affermando l’enorme importanza di un’agricoltura e di un’industria nazionali autosufficienti. Questo però non deve assolutamente rimandare né all’autarchia né al protezionismo. Il Juche predica una certa autonomia per quanto riguarda i beni di consumo primario, tuttavia consente certamente scambi commerciali con altri Paesi. Con la scomparsa dei suoi principali partner commericali (fra i quali spiccavano la DDR, la Romania Popolare e l’ Unione Sovietica), la Repubblica Popolare Democratica di Corea conobbe una gravissima crisi economica, che venne superata solamente grazie agli immensi sforzi dei lavoratori nord-coreani. Il periodo che va dal 1995 al 2000 è infatti conosciuto come l’Ardua Marcia. La Corea del Nord ristabilì l’economia grazie alle sue sole forze, concordemente alla linea ideologica del Juche. Sempre a causa della fine della Guerra Fredda, Kim Il Sung iniziò ad impostare, poco prima di morire, la dottrina del Songun (letteralmente “esercito al centro”). Un perfetto sunto dei concetti di base del Songun, è contenuto in una citazione dello stesso Presidente Eterno: “È possibile salvaguardare le conquiste socialiste e difendere il lavoro pacifico dei lavoratori e la costruzione socialista dall’aggressione dei nemici, solo quando si fortifica la potenza difensiva del paese rendendola simile a un muro d’ acciaio; vale la pena farlo, anche a costo di vedere lo sviluppo economico rallentare leggermente”. La Repubblica Popolare Democratica di Corea era stata privata in quel periodo dei suoi maggiori alleati. Contemporaneamente, la Nato diventava il “gendarme” del mondo, introducendo il concetto demagogico e retorico della “guerra umanitaria”. I vertici del Partito del Lavoro di Corea decisero che, per la preservazione dello Stato popolare e dell’indipendenza nazionale, l’Esercito Popolare Coreano sarebbe dovuto diventare la colonna portante dell’edificazione socialista. Alla morte di Kim Il Sung, il Songun venne adottato come ideologia ufficiale in campo militare e l’Esercito fu accostato agli operai ed ai contadini in quanto riserva del consolidamento rivoluzionario. Kim Jong Il lo sviluppò ulteriormente, destinando oltre il 30% del PIL per la modernizzazione delle forze armate. Negli ultimi anni però, le minacce di invasione si sono fatte sempre più grandi. Per far fronte all’ingente presenza di installazioni militari statunitensi nel Sud della Penisola, la Repubblica Popolare Democratica di Corea ha deciso di riavviare, nel 2008, la centrale nucleare di Yongbyon. Secondo Kim Jong Il, Il Juche ed il Songun impongono una forte sovranità militare; quest’ultima passerebbe anche dal possedere un proprio arsenale nucleare. La Corea del Nord non tollera in alcun modo ingerenze nei suoi affari interni e provocazioni militari. Oltre a questo, non ha finora esitato a condannare le aggressioni imperialiste a Paesi sovrani da parte della Nato, anteponendo un forte oltranzismo antimperialista ad ogni altra pretesa. Questi concetti vanno dunque interpretati in un’ottica esclusivamente difensiva. La Repubblica Popolare Democratica di Corea non è uno Stato guerrafondaio, anzi tutt’altro: la sue analisi in politica estera sono assolutamente ben ponderate, realistiche e distensive. Kim Jong Il, da sempre favorevole alla riunificazione col Sud, ha dimostrato grande elasticità nei rapporti con Seoul. Nel 2000, a Pyongyang, il Caro Leader si è incontrato con Kim Dae Jung, l’allora Presidente della Corea del Sud, in un clima d’amicizia e di mutua cooperazione. A seguito di quest’episodio, le due Coree hanno stretto dei rapporti economici non indifferenti. Purtroppo però, negli ultimi anni, Seoul ha ripreso una politica aggressiva, non rinunciando peraltro a notevoli esercitazioni militari nel Mar Giallo, eseguite con il supporto logistico e operativo della Marina degli Stati Uniti. Tuttavia la Repubblica Popolare Democratica di Corea si è di nuovo detta disponibile al dialogo e ad un eventuale blocco del suo programma nucleare; ha inoltre più volte richiesto la ripresa dei colloqui a sei.
Nel complesso, il ruolo svolto da Kim Jong Il è stato enormemente positivo. Con la sua presidenza, la Corea del Nord è ritornata nell’arena internazionale in quanto Paese sovrano e come potenza nucleare. L’Ardua Marcia non ha fatto altro che testimoniare la validità del Juche in quanto ideologia rivoluzionaria originale e creativa, capace di trainare un intero popolo verso la rinascita economica. A questo proposito, Kim Jong Il ha anche stretto importanti accordi di mutua assistenza con la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa. Le recenti e tragiche invasioni di nazioni quali Afghanistan, Iraq e Libia hanno invece confermato uno dei principi cardine del Songun: non è possibile scendere a patti con l’Imperialismo. Il Caro Leader ha inoltre prestato assistenza ai lavoratori nord-coreani, contribuendo, con le sue conoscenze scientifiche e tecnologiche, al progresso dell’industria. Egli, nonostante l’ictus del 2008, continuava a girare quotidianamente nel paese, recandosi in visita a fabbriche, stabilimenti agricoli, mercati e cantieri edilizi, secondo il sistema diTean e lo Spirito del Chongsanr-ri (due particolari concetti filosofici elaborati da Kim Il Sung e ripresi da Kim Jong Il, che richiedevano, nella loro massima espressione pratica, la supervisione continua da parte del Partito di qualsiasi attività lavorativa statale e collettivistica presente nel paese). Pare che sia stato proprio questo a causare la sua morte.
Secondo la televisione di stato nordcoreana, la KCNA, egli sarebbe stato vittima di un arresto cardiaco dovuto appunto al troppo lavoro. Tutto questo è stato deliberatamente ignorato dai nostri mezzi di comunicazione, ai quali interessa solamente la demonizzazione di una persona deceduta che, solo per questo, meriterebbe altresì rispetto. Fortunatamente, a dimostrare non tanto l’incoerenza quanto piuttosto l’ignoranza e l’ormai evidente inutilità pratica della sinistra radicale nostrana, vi sono state notizie provenienti dell’estero. Infatti, la sua ferrea volontà di consolidare le conquiste della classe lavoratrice nordcoreana, la sua opposizione all’interventismo “umanitario” del blocco Nato e le sue molteplici conquiste in materia di sviluppo economico, hanno reso Kim Jong Il un dirigente estremamente rispettato agli occhi del movimento comunista ed antimperialista internazionale. Moltissimi partiti comunisti hanno voluto porgere le proprie condoglianze al popolo nordcoreano, adesso orfano di un’ importante guida politica, militare e spiriturale. Fra questi troviamo il Partito Comunista Cinese (che si è detto “sconvolto dalla scomparsa dell’altissimo statista Kim Jong Il“), il Partito Comunista della Federazione Russa (secondo partito nel Paese), il Partito Comunista Venezuelano o il Partito Comunista del Vietnam (partito guida della Repubblica Socialista del Vietnam). Il governo cubano di Raoul Castro ha addirittura annunciato 72 ore di lutto nazionale in tutto il suo Paese.
Perfino paesi asserviti economicamente e militarmente all’imperialismo nord-atlantico, quali Giappone e Corea del Sud hanno espresso tristezza per la grave perdita. Anche il popolo coreano tutto, nonostante sia diviso da confini artificiali e fratricidi, vedrà in lui un patriota impareggiabile ed uno dei principali combattenti per la riunificazione nazionale. Speriamo vivamente che i “democratici” se ne rendano conto fin da subito: la Repubblica Popolare Democratica di Corea non arretrerà di un millimetro dalle sue posizioni, ma soprattutto non accetterà mai il “diritto umano” alla sottomissione neocoloniale. Come ha ricordato non tanto tempo fa, il Caro Leader: “I diritti umani che propongono gli imperialisti sono i privilegi dei ricchi, perchè il loro danaro gli permette di commettere qualsiasi viltà. Essi non considerano come diritto umano quello dei disoccupati, degli orfani e degli sfruttati alla sopravvivenza. Loro che privano i lavoratori del più elementare diritto all’esistenza e applicano la politica antipopolare, quella di discriminazione razziale e nazionale e quella colonialista, non hanno pudore nel parlare di diritti umani“.



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